La casa di carta ovvero il mondo all’incontrario

Come recensire una serie senza fare spoiler

Un disincantato e profondo affetto filiale (per il padre) dà la stura ad un progetto ambizioso, di difficile realizzazione, ingombro di ostacoli. Un progetto che impone perseveranza, studio, rigore esecutivo, suddivisione delle competenze, nervi saldi, affidamento reciproco tra i partecipanti, consapevolezza dei propri compiti e gerarchia nei ruoli. E poco spazio per la sfera emotiva, relegata pudicamente nella retroguardia onde evitare di rovinare tutto (seppure talune sue prevaricazioni rischieranno la disfatta). Il fatto che il progetto sia molto illegale è un dettaglio insignificante nella serie, con targa Netflix, La casa di carta, impeccabile splendore della categoria.
L’obiettivo di quel progetto è il sancta sanctorum (o la santabarbara se preferite) della nostra vita quotidiana, da quasi sempre: la fucina del nostro denaro, ovverosia la Zecca di Stato.
Il progetto diventa, allora, il simbolo dell’intelligenza umana, equamente suddivisa tra il Professore (il capo della banda) e l’Ispettrice di polizia, il naturale contraddittore. Un uomo e una donna. Una volta tanto l’interminabile singolar tenzone tra i generi non si gioca sul piano seduttivo-sentimentale, terreno infido e inesplicabile! Chi vincerà la farà franca, salvo vedere da cosa.
La contesa tra le parti è serrata in un ritmo preciso, le armi a disposizione sono molte (il bluff, la trovata geniale, il colpo basso, l’azzardo, l’esperienza, la passione), i rischi elevati da entrambe le parti, chiari gli obiettivi reciproci, l’etica convergente inflessibile: nessuno deve morire. Signore e Signori: si è alla pari. L’imprevedibilità aleggia come un deus ex machina su entrambi, come sempre quando si ha a che fare con materiale umano, sociale e riottoso allo stesso tempo, però il Professore parte con un piccolo ma impressionante vantaggio.
Ha scelto personalmente un gruppo di compartecipi poco alfabetizzati (che orrore!) e li ha istruiti metodicamente, secondo un vecchio schema scolastico fatto di concentrazione e prolungata disciplina, di solide spiegazioni logiche, di precisi divieti, di conoscenze specifiche obbligatorie per tutti (ad esempio come funziona il corpo umano, per le emergenze), senza tema di mostrare, alla bisogna, pietà ed empatia. Doveva diventare, lui, il Professore, il leader indiscusso la cui autorevolezza richiede una naturale obbedienza. E vi riesce.
E noi spettatori assistiamo, con occhi di stupore, allo svolgimento di un piano dalle caratteristiche decisamente obsolete per i nostri tempi.
Nessuna sofisticata tecnologia se non per intralciare o neutralizzare quella degli avversari: si comunica con una linea telefonica tradizionale che spunta dal water, pensa un po’.
Niente improvvisazioni, e quando ci sono si pagano: la gerarchia prima di tutto, che sia il patriarcato o il matriarcato non fa differenza.
Nel perimetro del Grande Progetto dal quale tutto dipende, ognuno coltiva per sé progetti di vita futura, tra speranze e illusioni, abbandonate da tempo nel mondo dei tanto alfabetizzati.
Gli inossidabili legami famigliari, nell’ecumenismo geografico dei nomi, si rivelano mano mano: il Professore per il padre, Nairobi per il figlio, Tokio per la madre, Berlino per il fratello, Rio per i genitori, Denver per Mosca (il padre). Si rinsaldano, a dispetto di tutto, e mostrano una sconosciuta forza sotterranea.
Al rispetto della gerarchia si accompagna quella per le ferree competenze individuali, e le intemperanze soggettive, se vogliono il loro posto al sole, devono trasformarsi giocoforza in aperta ribellione, ammutinamento. Ad un capo deve sostituirsi un altro capo, c’è poco da obiettare. Quindi, occorre coraggio, molto coraggio, conoscendo quanto sia imprevedibile l’esito di una possibile sfida dentro il gruppo.
Vita e morte: che sottile confine a dividerle! É necessario che sia chiaro a tutti che l’equilibrio precario in qualsiasi momento può far cadere dal lato non voluto, e questa condizione deve essere accettata senza riserve.
Il sentimento religioso soccorre proprio a reggere l’urto dell’evento drammatico, nella forma della preghiera più nota e accomunante del cristianesimo: Padre Nostro che sei nei cieli … .
Indomita resistenza! Si agisce per un obiettivo studiato, meditato e voluto per riscattarsi da debolezze, inferiorità, esistenze traballanti e scoordinate, e quando l’invasore, armato fino ai denti, vuole riportarti a quella esistenza, devi respingerlo con il sentimento di una resistenza estrema: si canta convinti Bella ciao.
Il sentimento amoroso, accantonato ma non ignorato, fluttua imperterrito sulla scena, e, pur se chiamato sindrome, non ne perde la sostanza, e offre dedizione, curiosità, disponibilità estreme, e anche qui: coraggio.
Che armamentario di vita quotidiana e sociale fiorisce puntata dopo puntata dietro la porta blindata della Zecca di Stato!
Invece, lì fuori, all’aperto, si agita il mondo dell’organizzazione che ci governa nella legalità: squadre d’assalto, tecnici informatici e biologici, servizi di sicurezza, ambasciate occidentali, elaborati mezzi tecnici. Un mondo, questo legale, in piena regola, alfabetizzato e all’avanguardia, dove – però – la tradizione umana pare dismessa senza tanti rimpianti, e con manifesta disinvoltura.
Niente schemi e ruoli, e tantomeno gerarchie rispettate, perché l’autorevolezza è sostituita dal gesto d’imperio che nasconde antipatie, questioni personali, vendette covate. L’individuo sostituisce a pieno titolo, e a regime, il gruppo, nell’animosità permanente della propria condizione naturale – per nulla invidiabile – che prende il sopravvento e sbaraglia la visione lucida, la calma richiesta.
In questo mondo conforme alle regole non si ama, non si prega, e ci si fa beffe della morte per abusato senso di invincibilità.
Il mondo legalizzato, in mostra sui telegiornali di tutto il mondo, è impreciso, in ritardo, messo alla berlina e, va da sé, non suscita alcuna simpatia; si limita a fabbricare denaro senza alcun serio progetto, ed è un mondo ormai privo di quell’esplosivo impasto di emotività imprevedibile, ripensamenti dell’ultimora, sentimenti reali e reazioni superficiali, obbedienza e ribellione, intelligenza estrema e imbecillità di quart’ordine. Non è più un mondo di veri esseri umani, non è più un mondo per gente dabbene.
La casa di carta mette nero su bianco i corni del dilemma: ribaltate le prospettive, di fronte ad un mondo alla rovescia, da che parte stare?
E l’innocuo spettatore (specie quello italiano sballottato tra serie televisive sociali, caritatevoli, pseudo-realistiche) arrischia momenti di autentica euforia e muove i primi incerti passi verso il mondo dove non avrebbe mai pensato di ritrovare tutta la sua storia, ma con un dubbio assillante: chi invaderà chi? chi sarà il primo a gridare terra terra? (episodio 11). E capirà che per saperlo dovrà prendere una posizione e da lì iniziare la sua vera resistenza.

Una mattina mi sono alzato, o bella ciao bella ciao, bella ciao ciao ciao … 

Michele Mocciola

1 COMMENTO

  1. Molto interessante la recensione, e apprezzo l’assenza di spoiler che mi lascia la curiosità di vedere questa serie di cui, ancora, non so niente! Normalmente preferisco dedicarmi alla visione di film, più che di serie, ma questa me la sono appuntata!

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