LETTERA APERTA A UNA NOSTRA AFFEZIONATA, ANCORCHÈ GIOVANE, LETTRICE

Cara Amica,
siamo una specie che può scegliere, e anche nelle circostanze più impervie la strada percorribile non è mai una soltanto. Coactus tamen volui (costretto tuttavia ho voluto) sintetizza, in modi oggi impensabili, questa facoltà, splendida e infame nel contempo.
In fondo, questo bivio permanente è consustanziale alla specie, allorché possiamo scegliere, ad ogni piè sospinto, tra la vita e la morte (fatto salvo il decorso biologico, naturalmente), avendo contezza dell’una come dell’altra. Ogni nostra funzione fisiologica possiamo soddisfarla oppure astenercene, e l’esito finale, anche quello estremo, resta la nostra scelta. Non è cosa da poco a pensarci bene, sebbene non ci riflettiamo su mai abbastanza.
Questa facoltà è stata, infatti, il fondamento – invisibile – del dualismo bene e male, del catalogo dei premi e delle pene, delle opposte costruzioni politiche e sociali; ciascuna civiltà è il risultato di una opzione, laddove sarebbe stata ugualmente possibile un’opzione diversa, o addirittura opposta.
E più il pensiero umano si è arricchito di conoscenza ed esperienza, più si sono moltiplicate le alternative, e sistemi secolari e consolidati sono apparsi vetusti, e le rivoluzioni si sono manifestate con la forza della vitalità vivificatrice, seppure spesso cruenti e velenose.
A corredo, sia ben chiaro che tutto questo si attaglia alla vita pubblica come a quella privata, perché ciascuno di noi quotidianamente sceglie, e queste scelte sono talvolta innocue, ma talvolta foriere di imprevisti cambiamenti radicali.
Viviamo costantemente all’incrocio di due o più strade.
I meccanismi all’origine delle nostre misere scelte quotidiane sono per lo più oscuri perché frammischiati in un universo incontrollabile di spunti, intuizioni, emozioni, pensieri, ricordi (o loro frammenti), visioni, abbozzi di sentimenti (invidia, rabbia, egoismo, vendetta, amore, e così via), tal quale lo sconosciuto mondo dei sogni che, vivendo nell’oltre cortina della coscienza, non ci impaura più di tanto.
E quando siamo convinti di non avere scelta è certo che ne abbiamo più d’una, e la nostra cecità risiede comodamente nella scarsa attenzione, nell’indifferenza, negli automatismi, nella rinuncia all’esercizio del Pensiero, nell’affidamento a forze esterne (esoteriche, scientifiche, o di altro genere, sotto questo punto di vista non fa differenza).
È quindi insuperata l’affermazione: coactus tamen volui.
Fatta questa premessa, veniamo ai giorni nostri, giorni di sotterranea disperazione a fronte di un’apparente esibizione muscolare, un tempo negletta e oggi riproposta in modalità più che seducenti.
Ideologie e ideali, un tempo motore delle fattibili alternative, non sono luoghi collettivamente riconosciuti, ed il motivo è presto detto: la velocità.
Le odierne tecnologie mettono a nostra disposizione due elementi straordinari: precisione e velocità. La prima, invidiabile, la seconda nefasta.
La tensione alla precisione: nell’esecuzione dei movimenti, nell’uso del linguaggio, nell’osservazione del mondo esterno, nel trasferimento emotivo, nell’esercizio di qualsivoglia arte, è ciò che meglio può garantire la finalità perseguita, e all’arrivo: gratifica, abbellisce, conforta, perché è una tensione che volge all’estetica dell’esistenza quotidiana. E questa estetica ci riporta nell’alveo di una Natura e di un Cosmo abbaglianti per bellezza e precisione, di cui soltanto la nostra specie è osservatore privilegiato, ed esclusivo.
L’estetica diventa, perciò, la forma della precisione, e – infine – del nostro agire quando volge alla precisione.
La tensione alla velocità, al contrario, genera scompiglio, peggiore del caos.
Al di fuori delle particelle subatomiche e della tecnologia, la velocità in sé, e indistinta, non si addice ai tempi raffrenati del nostro corpo e delle sue reazioni, che sono tempi commisurati e differenziati; soprattutto, non si addice alla fase creativa del Pensiero che richiede corposi tempi di costruzione.
L’esatta misura del Tempo è condizione ineludibile per l’organizzazione intellettiva, laddove la pura velocità sorvola ma non si addentra, sfiora ma non colpisce al centro.
Le Civiltà, gli Imperi, i Totalitarismi, non sono nati in un giorno!
La velocità mette a rischio la precisione, e, deformando il circostante, offre visioni distorte della realtà, della nostra esistenza, e del nostro ruolo in un cosmo assai silente (e che perciò non ci è d’aiuto). La velocità, quindi, distrugge l’estetica.
La velocità ci rende superficiali e ci allontana dalla conoscenza: è l’arcinemica del Pensiero.
Tentati dalla velocità della luce e delle macchine, abbiamo abbandonato la precisione, cadendo come degli allocchi nel marasma dell’infelicità reciproca, che alberga dove non c’è estetica.
Con il post-scriptum che l’opposto della velocità non è la lentezza, bensì il ritmo.
Ecco perché oggi, senza la puntualità del Pensiero che analizza e definisce, che esamina e costruisce le visioni prospettiche di lungo tempo, che mette in conto gli svantaggi e gli esiti (che non sono per ciò solo benefici), non ci sono e non possono esserci ideali e ideologie.
E se non ci sono loro (gli ideali e le ideologie), le alternative che ci vengono proposte (o che si parano davanti) sono fasulle, perché alla base non c’è il Pensiero organizzato, e le possibili scelte non modificano le strutture esistenti, e non aprono ad alcuna reale rivoluzione (buona o cattiva che sia).
Le contrapposizioni diventano non già scontri frontali di opposte visioni del mondo, ma isteriche schermaglie originate da meschini sentimenti personali covati nella frustrazione di una pochezza intellettiva; sono ripicche giunte alla ribalta grazie alla velocità consumistica dei meccanismi comunicativi contemporanei (social): il loro naturale brodo di coltura (che può generare anche mostri).
I giudizi, veloci ed approssimativi, le considerazioni, veloci e approssimative, nascono e muoiono con la medesima sfrenata velocità, evitando accuratamente di sedimentare e costruire. Niente si costruisce e niente si distrugge, al giorno d’oggi. Tutto trasvola implacabilmente senza tracce.
Questo è il contesto umano della nostra quotidianità, e in un siffatto contesto l’alternativa: vaccino sì, vaccino no, è irrilevante, improduttiva e – alla fine – sommamente ridicola.
Le argomentazioni stringenti, le ricostruzioni secondo schemi logici, la richiesta di delucidazioni, le specifiche domande, si rivelano ormai, per gli agguerriti fautori di questo nuovo sistema, privi di qualunque dignità intellettiva, perché tutto è ridotto alla stolida riclassificazione dei cittadini nei due grandi gruppi: pro-vax e no-vax, i quali pretendono, entrambi, un’adesione assoluta e incondizionata. Un vero e proprio atto di fede, seppure fuori da ogni ambito religioso.
Si viene iscritti d’ufficio ad un gruppo o all’altro per un dubbio espresso, ovvero per una considerazione critica, con transiti invero repentini e giornalieri, e continui, e questo, cara amica, rende più che evidente come la scelta da fare (vaccinarsi o non vaccinarsi?) non dipenda più dalla condivisione di ideali o ideologie, dalla comunanza di una prospettiva futura ricercata e voluta, ma da fattori talmente superficiali e sconclusionati che fare di quella scelta una questione di idealità non ha più alcuna pregnanza, alcun reale valore. Diciamolo chiaramente, non porta a nulla.
Qualunque opzione esula dalla ricerca intellettiva, dall’esercizio del Pensiero.
Occorre, quindi, una nuova metodologia di orientamento.
Occorre, per la precisione, una metodologia individuale di salvaguardia della ricerca personale dell’esistenza che vogliamo avere negli anni a venire, la cui tutela deve elevarsi al di sopra delle vacue schermaglie di cui s’è detto, per confluire – si spera – in un ambito collettivo, seppure circoscritto.
E se si ha la convinzione che il percorso personale intrapreso è quello che fortemente vogliamo per la sua fecondità di crescita, è quello l’obiettivo cui mirare, e al quale dobbiamo guardare senza distrazioni di sorta.
Il cambiamento, insomma, deve essere questo: non si tratta di inserirsi in un movimento collettivo cui aderiamo e che ci orienta, bensì dobbiamo essere noi la bussola di noi stessi, mentre muoviamo alla ricerca del nostro personale movimento (corporeo e intellettivo), accompagnandoci, strada facendo, ad altri che, come noi, camminano nella medesima direzione, foss’anche su vie parallele, così da orientarsi vicendevolmente, nella socialità da cui non possiamo disgiungerci.
E se tu, cara giovane amica, aspiri come noi – me lo hai sussurrato – ad un linguaggio multiforme, variegato, fuori dal basso standard attuale così uniformemente noioso, a dispetto di una lingua (la nostra) aperta agli inserimenti più disparati, alle acrobazie non di maniera; se aspiri ad un linguaggio da costruire nel tempo e secondo una scansione che rifugge (appunto) dalla velocità tecnologica. Se aspiri, di conseguenza, alla cura del Pensiero, presupposto necessario per un linguaggio di tal fatta, insisti nel tuo percorso, traccialo, lascia i tuoi segni distintivi, esercita la tua tenacia e evita, come il diavolo in persona, tutto ciò che, abbagliandoti, ti allontana dalla tua impresa, prospettando fittizie rivoluzioni ideali che, oggi, sono come i miraggi nel deserto: non esistono.
Vogliono spettacoli gladiatori per il divertimento collettivo offrendoci le armature migliori, ma non possiamo permetterci il lusso di parteciparvi, abbiamo ben altre e più serie incombenze delle quali occuparci.
Ecco perché se chiedono di vaccinarci, pena l’esilio da cinema, teatri, biblioteche, corsi di qualunque tipo, scuole e università, noi non saremo i combattenti del tempo perduto, ma ci vaccineremo, perché una simile esclusione pregiudicherebbe non poco la nostra ricerca, e la nostra prospettiva di lungo termine, e l’opposizione in nome di nonsisacosa sarebbe il vulnus letale di ogni progettualità individuale.
Dobbiamo essere noi, pertanto, a disinnescare l’ordigno farlocco travestito da un’alternativa che, in fin dei conti, è di nulla portata, dovendo perseverare nello studio, nella ricerca, nell’appropriazione di quegli strumenti che, alla lunga, saranno essenziali per riportare in auge un’estetica esistenziale (individuale e collettiva) senza la quale finiremo tutti in un’indistinta fossa comune.
Ho concluso e ho detto la mia, giovane e cara amica: ora, a te, la scelta.
Tuo affezionato

M.M.

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