Una serie da ammirare

Il titolo è in fondo

Tre ragazzi, un bianco occidentale, una latinoamericana, un haitiano nero, con un grande fagotto sulle spalle (un cadavere?) s’incamminano in una verde radura in un bel giorno assolato, nei dintorni di Miami; in lontananza, appena si intravede il mare; la camera indugia sui volti, seri. Il movimento rallentato conferisce pregnanza alla scena, e la necessità di una specifica attenzione: non va presa sottogamba come mero espediente di fine stagione.
Il bianco occidentale ha un vistoso occhio nero, l’haitiano è il più elegante, i capelli lunghi della ragazza meglio si intonano a quella radura, disordinata nella sua naturalezza.
Il fagotto è pesante, il trasporto è faticoso, il cedimento di un attimo con le gambe che si piegano ne mostra l’evidenza; l’haitiano si stacca dal gruppo per meglio sistemare sulla spalla la borsa da lavoro, poi … di nuovo è con loro.
Durante il trasporto, sotto il peso del fagotto, la ragazza sorride platealmente, e non è un abbozzo mimetico, è un bel sorriso ripieno di qualcosa. Di cosa?
I tre ragazzi si allontanano fino a scomparire nella radura, con la musica (When you’re gone – Jon and Roy) che li accompagna: quale sarà il loro futuro?
La scena chiude il ciclo seriale; della quarta stagione non si hanno – purtroppo – notizie fresche, le voci di rete sono incerte.
Detto questo, veniamo a noi.
La storia di questa amicizia multietnica affascina; dagli esordi casuali e burrascosi alla scena ultima, il percorso tortuoso e accidentato conduce a un finale di autentica solidarietà, che sopravanza le reciproche intemperanze, gli errori (anche gravi) di ciascuno, i tradimenti; il caso fortuito iniziale ha lasciato tutto lo spazio a connessioni umane più intense, sebbene imprevedibili, dati i reciproci contesti di partenza.
E lentamente, nel corso di tre lunghe stagioni, pur muovendosi l’intera vicenda nel centro incandescente dell’economia contemporanea fatta di *coin e darknet, dove allignano famelici appetiti criminali, quella amicizia cresce maturando, sempre più lontana da scelte opportunistiche di pura convenienza economica.
La posta in palio in quel gigantesco gioco virtuale, che reclama ondate di denaro a supporto, cambia di minuto in minuto a suon di utenti – milioni e milioni – perché loro fanno la differenza, e regolano il potere, regalandolo; sono quegli utenti del vasto mondo digitale a regalare il Potere a chi attende ansioso un solo clic individuale, spostandosi in massa, e optando secondo notizie vere o false, sbandierate sulla rete. Per i milioni di utenti la realtà è lì, ed è quella l’unica realtà.
Fuori da un tale habitat, in parallelo, si va consolidando, secondo modalità proprie ed esclusive della specie umana, la strana ma feconda amicizia tra Nick, Ronald e Izzy, un legame che si rivela nella sua potenza nella descritta scena conclusiva, attraverso la concretezza dei gesti e del sorriso di Izzy, senza commenti o spiegazioni.
Quel sorriso è di soddisfacimento personale, come se dopo alterne vicende, e nel pieno di una situazione impensabile, qualcosa si fosse ricomposto: la loro instancabile amicizia.
È chiaro che ciascuno di loro, a turno, ha avuto il personale momento irrazionale, o ha fatto la scelta sbagliata, ma il vincolo, quel vincolo, si è dimostrato indistruttibile, come retto da una forza sotterranea che non vi rinuncia, e l’irrazionalità dell’uno è stata compensata dalla lucidità degli altri.
Coesione e reciproca solidarietà, contrasto e riconciliazione, sono i canoni di questo mondo umano, tanto umano, che naviga nel tumulto del diverso mondo digitale che si confronta a distanza algoritmica, e dove la musica di sottofondo è solo quella della digitazione.
C’è dell’altro da approfondire nella serie, molto altro, e le prospettive si diversificano, ma questa del triangolo amicale, suggellato da quella scena, mi è sembrata la più meritevole di interesse.
E ora, amici, godiamoci StartUp (Netflix), e chi non lo guarda con me peste lo colga.

 

Michele Mocciola

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