Sognando Babilonia di Richard Brautigan

L'hippie che sognava pulp

Richard Brautigan
«C. Card, sei proprio tu?»
Guardai su, tornato in pieno nel cosiddetto mondo reale. La voce apparteneva a un mio vecchio compagno d’armi della guerra civile spagnola. Erano anni che non lo vedevo.
«Be’, mi sa di sì», dissi. «Sam Herschberger. Che notti a Madrid. Quelli sì che erano bei tempi».
Mi alzai e ci stringemmo la mano. Dovetti stringergli la sinistra perché la destra non c’era più. Mi tornò in mente l’esplosione che gliel’aveva portata via. Non fu un bel giorno per lui: faceva il mago e il giocoliere. Quando vide la mano saltata, appoggiata in terra poco distante, l’unica cosa che riuscì a dire fu: «Questo è uno di quei trucchi che non riuscirò mai a ripetere».
Può darsi che Richard Brautigan fosse mortalmente serio quando ribadiva che nei suoi libri non c’era la minima forma di parodia, ma solo invenzioni narrative.
Può darsi, ma è difficile credere al vecchio hippie che da decenni entra ed esce dagli scaffali delle librerie – e che è sempre un piacere ritrovare su quegli scaffali, impossibile com’è da incasellare in uno stile, in una scuola letteraria, in un genere definito.
Quando si legge un romanzo come “
Sognando Babilonia” (edizione Minimum Fax, traduttore Pietro Grossi) il dubbio assale il lettore: la storia strampalata di un detective privato scombinato come pochi, tale C.Card, nell’America del 1942 – lo spettro dell’attacco giapponese a Pearl Harbor aleggia più volte nei pensieri di Card e dei personaggi – non è una presa in giro continua?
Senza un soldo, senza una famiglia, a breve senza un appartamento se non paga l’affitto, C.Card si arrabatta come può cercando qualche caso da sbrogliare, ma la clientela latita come i dollari nel suo portafoglio; Card va avanti cercando di farsi bastare qualche centesimo per una giornata.
Non ha neanche la pistola.
Quando ha la pistola, gli mancano le pallottole.
Come si fa a dire che tutto ciò non è la parodia di un hard boiled?
I primi brevi capitoli di questo breve ma divertentissimo romanzo raccontano non il caso a cui si dedicherà Card per la seconda, rocambolesca parte di Sognando Babilonia, ma i tentativi di racimolare il materiale per poter anche solo essere un detective privato presentabile.
Altro che Marlowe. Qui siamo dalle parti di Doc Sportello – e Pynchon, che gli hippie li ha sempre frequentati e sognati, conosceva di sicuro Brautigan e questo suo romanzetto. Oh si, garantito al limone, come faceva quella vecchia pubblicità.
Eppure, nonostante l’umorismo deflagrante dello scrittore, con dei capitoletti brevi e imprevedibili capaci di sfociare in un continuo nonsense, la sensazione è che in qualche maniera Brautigan stia scrivendo un hard boiled classico a modo suo.
Che dietro intrecci macchiettistici, la flessibile etica lavorativa di C.Card e personaggi stravaganti a dir poco (la dark lady che si sfonda di birre senza accusare nulla, l’amico che lavora nell’obitorio e ha una passione sospetta per i cadaveri femminili dalle belle forme), sullo sfondo di quello che appare a prima vista come un pastiche, puro divertissement fine a sé stesso, ci sia altro di mortalmente serio.
E c’è, com’è ovvio che sia.
C.Card sogna Babilonia in continuazione, che poi è un modo di dire che sogna a occhi aperti anche (e soprattutto) quando non deve. Fantastica di essere il più grande detective privato della Babilonia di Nabucodonosor, vivendo avventure degne di un fumetto pulp anni ’30 nei giardini pensili di un mondo molto più gradevole di quello in cui gli tocca vivere – lì ha successo, ha una donna favolosa, è un eroe che raddrizza le sorti del mondo. Allo stesso tempo, sognare Babilonia gli ha fatto perdere tutte le occasioni migliori: come dice lo sbirro tosto e cattivo (cattolico irlandese dalle maniere dure), Card aveva talento, ma è un coglione che ha dissipato tutto nei suoi sogni. È uno non allineato. Non fa parte del “sistema”. È fuori.
Non starò a fare sterili agganci tra la storia di Card e quella di Brautigan. Al fatto che Babilonia è il corrispettivo di ogni dipendenza, paradiso alcolico o ricerca di un altrove meno doloroso di chi non riesce a vivere in un mondo tremendamente crudele come il nostro.
Non starò a farli, ma un po’ viene il magone a pensare che a 49 anni Brautigan scelse definitivamente Babilonia – e tanti saluti.

Nicola Laurenza

 

 

LASCIA UN COMMENTO