C’era una volta a… Hollywood

Questa non è una recensione

Once upon a time, da noi C’era una volta, … e noi siamo già lì: d’accordo, ma lì dove? sembra un ritorno al tempo indietro, passato per tutti, per molti mai conosciuto, e nello stesso tempo un ritorno nel luogo in cui quel tempo viveva dando forma alle cose, alle persone … ai sentimenti. Ma è un tempo realmente vissuto? Sono luoghi di fatagione, con esseri splendidi o mostruosi che serrano i ranghi, oppure luoghi muniti della patente della Storia con tanto di date? Noi umani abbiamo bei problemi con la realtà.
Evocando Once upon a time cambia il nostro modo di vedere, persino se quel tempo lo abbiamo realmente visto, e cambia radicalmente, e delle discussioni e dei dibattiti, degli articoli su quel tempo, storicamente determinato, non ce ne facciamo un bel niente, scarti da gabinetto. E tutto questo perché C’era una volta avvia ad un mondo nuovo, concreto eppure astratto, reale eppure di fantasia. Forse, Once upon a time è la sintesi del vero cinema, della vera letteratura.
Cera una volta, questa volta, è a Hollywood.
Il 1969! ribollimenti, stravolgimenti, animi inquieti, fermenti, stravaganze, mondi bucolici in arrivo, storie d’amore tra ricche signore e giovani laureati di buona famiglia: insomma, regole sottosopra. L’epica del far west, ormai fuori dal monopolio, era spaghetti western; le gambe femminili scoperte, decisamente scoperte, offrivano un euforico senso di libertà. Ne abbiamo un ricordo diretto, oppure lampi da prima infanzia, oppure è solo un sentito dire, da uno zio, un padre, da un nonno addirittura. Cerchiamo di ricostruire la storia, con lo sforzo di non essere partigiani, ma non sapremo mai ripetere ciò che brillava negli occhi, che passava nelle menti sempre in attesa di qualcosa; non sapremo descrivere le piccole infinite felicità di momenti individuali inseriti in una sommatoria che realizzava quell’unico film in cui ciascuno era perso (o perduto).
Tanto per fare un esempio, cosa c’era quella volta lì a Hollywood nelle smanie degli attori o dei produttori, dei registi? come sgambettavano attori registi eccetera lungo i viali di luoghi creati ad arte per girare le loro scene? come sgambettavano in quei viali, oggi riprodotti per noi che siamo andati al cinema a vedere quelle scene artefatte nel film di Tarantino? ridevano? e di cosa? come ridevano, anzi cosa li faceva ridere, perché si infuriavano? cosa circolava nei pensieri, nelle mimiche, negli sguardi d’amore, nella sete di vendetta? Apparentemente vivevano come noi oggi viviamo – tecnologia a parte – eppure in quei colori, in quelle fogge, in quelle dinamiche di movenze, di attese inebrianti, di lucidi sogni e sbalzi d’umore, nell’impalpabile che scorre quotidianamente, vortice nel vortice temporale, lì, si nasconde Once upon a time che dischiude, a distanza di decenni, un mondo che non abbiamo vissuto, che nessuno ha realmente vissuto, perché si è trasformato, nello stesso momento in cui viveva, in fole da osterie, fumose e sporche. Oggi, dopo decenni, qualcuno, che lo sa fare, eccome se lo sa fare!, ci racconta quella fola, null’altro. E la cosa veramente bella è che se nessuno ci riportasse in quel mondo lì divenuto gioiosa fumisteria, noi ne sapremmo veramente poco o nulla, e se per caso fossimo vissuti in quel preciso istante in quello specifico luogo, non avremmo nulla da dire tranne qualche data smozzicata, incerta. Qualche borbottio incomprensibile che di sfuggita attraversa la nostra mente annebbiata. Insomma, senza Quentin Tarantino, o chi altri per lui, non sapremmo nulla del fatidico 1969.
Ecco, allora, che il film del racconto scorre senza una trama, intrecciato negli stati esistenziali delle comparse, perché in quel mondo trasformato ci sono solo comparse (Charles Manson compreso), avvinte a formare un’illusione, un’immaginazione o qualcosa di simile: tutte insieme formano l’evocato C’era una volta, che adesso non c’è più. Come non ci sono più l’adolescenza, o la gioventù; sono abbagli, e clangori, prolungati momenti a-storici: senza trama, appunto. È una finta memoria la nostra che coltiviamo per non subire l’abbandono più tragico da noi, ma pur sempre finta, ingannevole.
Allora, occorre affidarsi al narratore, al grande regista che inizia a raccontare per riportarci a quel mondo di cui non sappiamo nulla. Once upon a time… .
E se il finale non corrisponde a quello che abbiamo sempre saputo, o letto o vissuto, dobbiamo avere il coraggio di concludere: ci siamo sbagliati.

Michele Mocciola

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