AUDIOLETTURE DANTESCHE, 2: PURGATORIO – L’ORDINE DELL’AMORE E IL “MAL CHE S’AMA”

La struttura del Purgatorio e la filosofia etica di Dante

Illustrazione di Salvador Dalì

 

Nella Cantica del Purgatorio, a un certo punto Virgilio, guida di Dante, spiega la struttura di questo reame ultraterreno singolarmente provvisorio, dove le anime penitenti scontano i loro peccati per poter accedere al Paradiso. Da questo discorso emerge una filosofia etica di non poco interesse, secondo cui il male, per essere compreso appieno, va letto in termini d’amore, in riferimento al bene.
Quest’etica dantesca si sviluppa da un presupposto teologico forte: la realtà è nella sua essenza buona, poiché ha nel Dio d’Amore, Bene Assoluto, il suo fondamento, fonte prima e fine ultimo d’ogni cosa, “d’ogne ben frutto e radice”. Ne consegue che, a rigor di logica, il male non può essere mai radicale o totale, è sempre derivato e parziale, per quanto possa essere devastante. Il male infatti è sempre danno, corruzione, distruzione di qualcosa di preesistente, di un che di concreto e circoscritto al quale però non può togliere l’esser-esistito, il suo radicamento prioritario nell’Essere. Il male, insomma, non può intaccare il Bene in sé, riuscendo a nuocere solo a beni particolari.
Per tale ragione, Dante (tramite Virgilio) asserisce che ciascun uomo, essendo anzitutto creatura di Dio, non può odiare completamente, fino in fondo, né sé stesso (la sua propria natura) né il Creatore. Nemmeno volendo, possiamo dissolvere in noi, e men che meno in generale, l’Ordine universale dell’Amore. In questo campo, al massimo, possiamo essere deboli o eccessivi verso certi beni terreni, ovverosia possiamo divenire accidiosi, golosi, lussuriosi, rischiando di perdere di vista l’orientamento al Bene, rendendoci infine infelici, a causa dell’indolenza, dell’incontinenza, della dissolutezza.
Invece, il male più propriamente umano, nella sua forma più grave e distruttiva, è fare-il-male agli altri: ” ’l mal che s’ama è del prossimo”. Qui gli uomini possono essere superbi, ossia voler primeggiare calpestando l’altro; oppure invidiosi, rattristandosi del bene altrui e desiderandone la rovina; o ancora irosi, replicando alle offese d’altri con soverchiante violenza e spirito vendicativo.
Anche se magari non si ha la stessa impostazione cristiana di Dante, bisogna convenire che la sua filosofia etica risulta condivisibile, poiché è innegabile che l’essere umano, in vista di un proprio bene, spesso agisca a discapito dell’altro, e possa spingersi molto in là nel male, esplicitando l’odio per il prossimo. Pertanto rimane sempre valido il monito morale ricavabile da questa parte del Purgatorio: il vero impegno etico consiste nel pieno riconoscimento dell’umanità di chi ci sta di fronte.

Commedia, Purgatorio, Canto XVII, vv. 91-139.

“Né creator né creatura mai”,
cominciò el, “figliuol, fu sanza amore,
o naturale o d’animo; e tu ’l sai.

Lo naturale è sempre sanza errore,
ma l’altro puote errar per malo obietto
o per troppo o per poco di vigore.

Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,
e ne’ secondi sé stesso misura,
esser non può cagion di mal diletto;

ma quando al mal si torce, o con più cura
o con men che non dee corre nel bene,
contra ’l fattore adovra sua fattura.

Quinci comprender puoi ch’esser convene
amor sementa in voi d’ogne virtute
e d’ogne operazion che merta pene.

Or, perché mai non può da la salute
amor del suo subietto volger viso,
da l’odio proprio son le cose tute;

e perché intender non si può diviso,
e per sé stante, alcuno esser dal primo,
da quello odiare ogne effetto è deciso.

Resta, se dividendo bene stimo,
che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.

E’ chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch’el sia di sua grandezza in basso messo;

è chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch’altri sormonti,
onde s’attrista sì che ’l contrario ama;

ed è chi per ingiuria par ch’aonti,
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che ’l male altrui impronti.

Questo triforme amor qua giù di sotto
si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,
che corre al ben con ordine corrotto.

Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l’animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.

Se lento amore a lui veder vi tira
o a lui acquistar, questa cornice,
dopo giusto penter, ve ne martira.

Altro ben è che non fa l’uom felice;
non è felicità, non è la buona
essenza, d’ogne ben frutto e radice.

L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,
di sovr’a noi si piange per tre cerchi;
ma come tripartito si ragiona,

tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi”.

LASCIA UN COMMENTO