COVID ACT

Un appello alla rivolta creatrice delle menti e dei corpi in difesa dell'Italia

Italiani! Buon 2021.
Di fronte a noi giace un Paese espropriato di qualsiasi luogo dove bene o male si recitava, si leggeva, si interpretava, si suonava, si osservava, si dibatteva, e si ascoltava, e dove si esercitava il corpo.
Chiusi i cinema, i teatri, abolite le presentazioni, le retrospettive, i saloni, le fiere e i minuti circoli letterari; sprangate le palestre, abbandonati i seminari dove rimbombano le voci, o si allenano i muscoli o si costruiscono figure astratte; lasciate alla deriva le Chiese e i riti irripetibili del sentimento religioso. Ridotte le Scuole, le Accademie, le Università, ad unica aula, quella buja e deserta del professor Lamis (L. Pirandello, L’eresia catara); ridotto il magister ad un ridicolo manichino.
Stretto nella triplice morsa infernale dell’idiosincrasia alla varietà umana degli scienziati-virologi, della inettitudine di governanti e sub-governanti, dell’allarmismo parossistico di una stampa indecorosa, questo Paese penosamente muore.
Il dado è tratto, la Morte entra in scena (Paul Valéry).
Muore d’inedia, di solitudine, di tristezza, e di permanenti indefiniti rancori.
Muore di specialisti incancreniti, mentre celebra una delle sue glorie, Leonardo Sciascia, che non vantava alcun titolo universitario.
Muore nella melma di una logorrea raccapricciante, intanto che s’affanna a celebrare Dante e la sua Commedia, puro distillato di lingua e pensiero.
La débâcle economica è certificata, ma quella dell’arte, dell’istruzione, del pensiero in formazione, del corpo fisico, si farà sentire nel più lungo periodo, e non ci sarà scampo (almeno per un decennio, se va tanto bene).
Di fronte a tutto questo, il Paese si è rintanato, pauroso e tremebondo, nelle braccia amorevoli dei soliloqui social dove si parla senza ascoltare, e sotto l’onnipotente controllo censorio dei nuovi plenipotenziari, mascherati da algoritmi, i quali, invero, si allenano con armi rinnovate ad invadere i singoli e le collettività secondo il modello inventato dai totalitarismi: a loro ci siamo affettuosamente abbandonati.
E un progressismo d’accatto che ha indotto a credere in una rivoluzione delle donne e del genere sessuale dicendo sindaca e non sindaco, assessora e non assessore, ministra e non ministro, ovvero ostentando asterischi e consimili facezie (il ragionamento è qui), ha il tempo di inveire contro la didascalia della pasta La Molisana, sviando gli sguardi dal volto oscuro di un nuovo ed inedito fascismo (ebbene, sì!) che ogni giorno ci fa l’occhiolino dai monitor di pc, tablet, smartphone et similia. Di questo, quel progressismo è complice o connivente.
Tranquilli! non ci saranno rivoluzioni di sorta in questa epoca al dolcificante, le giovani generazioni, cui biologicamente e tradizionalmente è demandato il compito, subiscono più degli altri la morsa ferale di cui si diceva, così che quando i nuovi prìncipi graziosamente riaprono qualche porta, che per mezzo dei virologi costantemente minacciano di chiudere prontamente, l’assalto non è ai forni, né ai luoghi del Potere, ma agli sgabelli degli esercizi pubblici, ai tavolini di varia foggia di ristoranti e pizzerie, o delle moderne mense collettive, per quel bisogno insopprimibile di un tocco, un abbraccio, un sorriso (Agamben non sbaglia), di un senso di famigliarità e di comunità, necessari a sgomberare, nelle poche ore regalate, una mortificazione comune avvertita come ignominiosamente ingiusta.
Italiani! non si tratta di incitare a chissà quali ribaltamenti, o di accodarsi a nuovi guitti: occorre riprendere, e in fretta, l’abitudine all’organizzazione del proprio lavoro intellettuale, alla libera ricerca senza sosta, all’autonomia di un pensiero pensoso che sia un’apristrada tra i cumuli delle macerie lasciate dall’uniformismo delle fazioni contrapposte.
Occorre riscoprire le riunioni infuocate di dibattiti veri, appassionati, con tante voci discordi, dove la presa di posizione non è definitiva ma un semplice tassello, la voce alta il personale convincimento non già una prepotenza; ma prima ancora è necessario lo studio individuale nel mare della conoscenza acquisita e tramandata, con lo sforzo sublime dell’arrampicata sulle vie tortuose di chi ci ha preceduti, potendo fare a meno della retorica delle celebrazioni.
E soprattutto, è imperativo avere la forza di carattere per contestare ogni Autorità priva di autorevolezza, per ricordare che, nonostante tutto, siamo ancora e formalmente in una Repubblica democratica (art. 1 Costituzione).

 

Michele Mocciola

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